L’ufficio di collocamento del Settimo Sistema e l’ineluttabile mediocrità di Fredrick Danrad

«Minatore?» chiese un incredulo Fredrick Danrad all’ufficiale di collocamento.
«Esattamente, il responso parla chiaro» gli rispose l’ufficiale appoggiando una cartellina sulla scrivania.
«Ci dev’essere un errore» cercò di controbattere Danrad, preoccupato.
«Il computer non sbaglia.»
«Ho 33 anni.»
«E io 36.»
Danrad squadrò l’ufficiale con antipatia.
«Ma i miei titoli di studio–»
«I suoi titoli di studio sono piuttosto comuni. E i suoi interessi… I suoi interessi non combaciano molto con quello che ha studiato.»
«Come fa a saperlo?»
«Lo sa il computer.»
Danrad si chiuse in avanti, stringendo fra loro le mani.
«Voglio rifare il test.»
«Mi spiace, ma non è possibile.»
«È sbagliato– è tutto sbagliato» insistette il ragazzo.
L’ufficiale non rispose, riprese in mano la cartellina e cominciò a sfogliarla alla ricerca delle risposte del test.
«Non è possibile rifarlo?»
«Il test? Oh, direi proprio di no. Vede, signor Danrad, sarebbe solo una perdita di tempo. Purtroppo il Settimo Sistema ha un numero elevato, elevatissimo, di individui come lei. Ha la sfortuna di possedere doti piuttosto comuni. Forma fisica nella media per la sua età, non ha eccelso nello studio, ha seguito un corso di formazione standard e la sua cerchia di interessi è ristretta, limitata. Lei è un perfetto cittadino qualunque, signor Danrad.»
Fredrick Danrad rabbrividì, le parole dell’ufficiale lo ferivano profondamente; aveva bisogno di lavoro e l’ufficio di collocamento del Settimo Sistema Stellare rappresentava l’ultima occasione di ottenerne uno. Purtroppo la risposta non era ciò che sperava: secondo il computer inter-planetario lui era un cittadino mediocre fra la mediocrità, un perfetto uomo comune. La notizia lo investì con violenza, aprendo una ferita che credeva cicatrizzata.
Un incidente, pensò amaramente, un piccolo incidente ed eccomi qui.
Si afferrò le cosce e cominciò a stringerle con forza.
L’ufficiale lo scrutò con indifferenza: vi era abituato.
«Lei non capisce. Non posso fare il minatore, non riuscirei a resistere.»
«Lo dicono in molti, ma alla fine non è così male, sa? Basta farci l’abitudine. Non sarà un lavoro da impiegati, ma–»
L’ufficiale prese una biro a scatto da un cassetto della scrivania e cominciò a farla saltellare sulla cartella.
«–la paga non è male, e potrà vivere su una colonia. Lontano da qui.»
Danrad maledisse i suoi genitori: l’idea di andare a lavorare in una miniera, su una colonia tra l’altro, lo nauseava.
L’ufficiale proseguì: «Qui non avrà vita lunga. Se ho ben capito non ha molti soldi da parte. Quelli dell’assicurazione, certo, ma se non continuerà a pagare le imposte planetari potrebbe cacciarsi in guai seri. Finirebbe ai lavori forzati, anche in un Sistema differente. Un Sistema maggiore. Mi capisce?»
«Qual è il tasso di mortalità?»
«A lavorare in un Sistema diverso dal settimo?»
«No, nella miniera.»
«Ah! Ecco… Un attimo.»
L’ufficiale cominciò a scrivere su una piccola tastiera nera, mantenendo un’espressione fissa. Gentile.
«Vediamo. Lei andrebbe nella nostra colonia satellitare Abraxas, una delle più sicure. Il progetto consiste in…»
L’uomo cercò una scheda sul monitor, trovata rimase zitto per una ventina di secondi.
«Eccoci. Diciotto anni di servizio, verrà condonato a 53 anni. Assicurazione medica gratuita, alloggio pagato per i primi nove anni. Come le sembra?» l’ufficiale sorrise.
«Mi sembra che non ho alternative» rispose Danrad stancamente.
«Per il nostro ufficio non ne ha. Purtroppo oggi giorno non vi è bisogno di forza lavoro in nessun altro campo.»
«E per quanto riguarda la mia laurea?»
«No, nessuno sbocco. Fosse stato un programmatore, ecco, le cose sarebbero state diverse. Ma, come dicevo… Abbiamo bisogno di braccia per il recupero di metalli. Solo questo.»
Fredrick Danrad si stese sulla sedia, si sentiva svilito. Svilito e disperato.
Non aveva nessuna intenzione di finire in una miniera su un qualsiasi satellite naturale; la vita da minatore non non era mai stata nei suoi piani. La cosa lo spaventava a morte. Danrad ricordava di aver visto un documentario su alcuni minatori del nono Sistema e ricordava pure la forte sensazione, a visione conclusa, di aver assistito a un autentico inferno legalizzato. Semplicemente: era disposto a tutto tranne che a finire morto per una perdita gravitazionale da qualche parte sotto terra. Ci dovevano essere altre possibilità oltre a quella: lo spazio era grande, il lavoro non mancava. E allora perché? Perché proprio in una miniera? Quanti altri Fredrick Danrad c’erano lì fuori oltre a lui?
Ho buttato al vento la mia intera vita seguendo i consigli di altri, e ora eccomi qui. Tutto in nome della soddisfazione dei miei? Davvero?
Il pensiero lo infastidiva ancor più della mansione da minatore. Ora che i genitori erano morti non aveva più nessuno a cui aggrapparsi; si trovava completamente solo e vittima di decisioni non sue, scelte assecondate per compiacere coloro che lo mantenevano. Troppo codardo per decidere di testa sua, troppo pigro per ribellarsi.
Ora non poteva fare altro che accettare l’incarico dell’Ufficio di collocamento. Un’altra decisione non sua.
Ma forse c’era un’alternativa. Cercando un contatto visivo con l’ufficiale, Danrad alzò lo sguardo:
«E il servizio militare?»
L’ufficiale sorrise malignamente.
«Sia serio. Ha superato l’età limite per iscriversi al servizio di leva. E i suoi dati fisici sono tutt’altro che positivi. Guardi qui… Ha– Ha forse fumato da adolescente?»
Danrad non rispose.
«E– Ah no. Niente fumo… Aspetti un attimo, se leggo bene–»
L’ufficiale sfogliò per un attimo la cartellina facendo cadere la biro adagiatavi sopra, quindi si girò verso lo schermo del computer.
«–lei è pure sordo dall’orecchio sinistro. Un’operazione al timpano andata male. Ehr. Mi spiace dirlo, ma… Qui non ci sono le basi per una carriera militare, per nulla. Ogni anno vengono scartati ragazzi più promettenti – e in forma – di lei.»
Danrad si sentì preso in giro. Non gli piaceva quel modo supponente dell’ufficiale. Non lo trovava giusto nei suoi confronti.
Stava per controbattere quando una signora di mezza età – paffutella ma ben truccata, notò Danrad – entrò nella stanza. Fermandosi con sorpresa sul ciglio della porta, guardò entrambi gli uomini e, scusandosi, uscì senza fare alcun rumore.
Danrad ritornò a fissare l’ufficiale, quest’ultimo avevo lo sguardo rivolto all’entrata, silenzioso, perso in confusi pensieri.
«Signore?» disse Danrad.
L’ufficiale trasalì.
Con un colpo di tosse si chinò a prendere la penna caduta sotto la sedia e riprese a sfogliare distrattamente la cartellina.
«Non c’è proprio nient’altro di disponibile?»
«In questo momento per lei abbiamo solo posti come minatore su asteroidi orbitanti; ma, sinceramente, non capisco il suo problema, signor Danrad. Come le dicevo la colonia di Abraxas è una delle più sicure e confortevoli tra quelle in cui poteva capitare. Ci sono molti servizi: la colonia comprende abitazioni civili e in questo momento ci vivono più di duecento persone. Pensi a un piccolo paesino; lei andrebbe a vivere in un piccolo paesino di provincia! Le toccherà lavorare sette ore al giorno, è vero, ma il resto del tempo libero potrebbe impiegarlo come vuole. A– svagarsi.»
«Svagarmi?»
«Certo. Come dire… Socializzare, divertirsi con gli amici, arredare la casa, trovarsi qualche hobby. Non c’è solo la miniera su Abraxas, sa?»
A Fredrick Danrad si risvegliò l’interesse.
Raddrizzandosi sullo schienale chiese:
«E cosa ci sarebbe, di preciso?»
L’ufficiale parve felice della domanda, gongolandosi rispose con professionale convinzione: «Negozi, centri sportivi, un cinema, un parco con flora terrestre e alcuni locali notturni. Una specie di villaggio vacanze.»
«Una piccola oasi» proseguì Danrad con trasporto.
«Certo! Una piccola oasi, come no!» confermò, sorridente, l’ufficiale.
Nella testa di Danrad il pensiero di una nuova vita prese il posto di una vacua esistenza priva di scopi.
Si sentì alleggerito, forse non era così male come pensava. Forse c’era anche la possibilità d’incontrare una donna di cui innamorarsi, una ragazza carina con cui passare i giorni, perché no.
«Ci sono delle donne su Abraxas?»
«Non è nemmeno una domanda da fare, signor Danrad. Il minatore è un lavoro come un altro, non discriminiamo dal sesso d’appartenenza» rispose l’ufficiale.
Il viso di Fredrick Danrad si illuminò di sincera felicità. Aveva trovato il luogo che faceva per lui, se ne sarebbe andato da Terra 7 e avrebbe ricominciato una nuova vita sul satellite Abraxas.
Tutto questo era alquanto eccitante.
L’ufficiale, lieto nel notare nel ragazzo un improvviso entusiasmo, diede a Danrad le ultime indicazioni contrattuali, sbrigando il più velocemente possibile le vicende burocratiche e richiedendo un documento con cui convalidare l’assunzione.
Faccende ultimate accompagnò Danrad all’uscita tenendogli una mano sulla spalla e aprendogli la porta con affabilità. Il ragazzo, immerso in un ampio corridoio illuminato, si voltò un’ultima volta verso l’ufficio. Saggiò con calma il proprio peso: si sentiva più leggero.
La segretaria del dipartimento, la stessa donna che poco prima aveva inavvertitamente interrotto il colloquio, gli passò accanto mostrando un velato sorriso. Bussando entrò nell’ufficio da cui Danrad era uscito e si chiuse la porta alle spalle.
L’ufficiale di collocamento non si curò di alzare lo sguardo dai fogli firmati da Fredrick, ormai era abituato alla presenza della donna.
Questa gli si avvicinò cautamente, quindi prese a parlare:
«Hanno telefonato dal quinto distretto. Dicono che c’è un problema di rete.»
«Mh?»
«Sì, non abbiamo il registro aggiornato.»
«Registro?»
«Non è aggiornato.»
«Come?»
«Mi può ascoltare un secondo?» la donna supplicò sbuffando.
«Sì, scusami Mercury. Dimmi pure.»
«Hanno telefonato dal quinto distretto, dicono che il nostro registro non è aggiornato per un problema alla rete. Dovrebbero averti inviato una parte delle richieste lavorative nella casella privata.»
«Nulla di cui preoccuparsi. Ti hanno detto di che settore sono le richieste?»
«Di un Sistema inferiore. Una – credo – dal pianeta Deen.»
L’ufficiale si gelò, immediatamente alzò lo sguardo verso la segretaria. Non poteva credere alle proprie orecchie: era la prima volta che riceveva una richiesta da Deen del Terzo Sistema Solare, a quanto ne sapeva uno dei pianeti più prosperi dell’intero universo. Laggiù la qualità della vita era di altissimo livello: l’atmosfera possedeva una percentuale di purezza quattro volte superiore alla media universale, gli stipendi minori permettevano un tenore di vita nemmeno immaginabile per un semplice funzionario come lui, vi si trovava un’accelerazione di gravità di 7,48 newton su chilogrammo e non vi erano tracce di organismi viventi ostili all’essere umano. Un vero e proprio paradiso chiuso a qualsiasi intromissione non regolamentata dal computer centrale. Una cattedrale dall’utopica bellezza e maestosità popolata dai più incredibili esemplari di razza umana mai esistiti: ricchi fino all’inverosimile ma dalla particolare mansuetudine e socievolezza.
L’ufficiale di collocamento, inconsuetamente agitato, si apprestò ad aprire la propria casella privata, trovandovi una lettera indicante la data di quel giorno.
Vi cliccò sopra: il contenuto – dai toni formali – riguardava il bisogno di un animatore per la capitale del pianeta Deen del Terzo Sistema Solare. Non erano richieste precedenti esperienze lavorative, né requisiti estetici. La domanda era riservata ai possedenti di laurea comune in comunicazione multipla e animazione didattica.
La segretaria si spostò alle spalle dell’ufficiale per leggere il contenuto del messaggio. Una volta letto, si sistemò i capelli e attese una reazione da parte del collega; non era sicura di aver compreso l’importanza del contenuto: astronomia non era il suo forte e le sue conoscenze dei Sistemi Solari rimanevano circoscritte a quello natale: il settimo.
L’ufficiale di collocamento prese in mano la cartellina già compilata e contenente il timbro laser di certificazione di Fredrick Danrad; saltando i primi due fogli, passò al curriculm vitae.
Il ragazzo, quattro anni prima, si era laureato in comunicazione multipla e animazione didattica, una delle più comuni in quel settore.
L’ufficiale appoggiò la cartellina e si voltò verso la segretaria, questa ricambiò con fare interrogativo.
«Signorina Mercury?»
«Dica.»
L’uomo la guardò in silenzio: era tentato di richiamare il ragazzo, annullare il contratto, informarlo della richiesta per Deen e spedirlo verso il paradiso. Un’occasione così era… Era più unica che rara, sì.
Fredrick Danrad: mortale tra gli dei – giocattolo di uomini dalla ciclopica bellezza e sagacia – o comune tra i comuni, in una vita infangata da metallo e sudore?
L’ufficiale rimase zitto, spostò la lingua contro gli incisivi superiori e ripiegò le labbra in una smorfia d’indecisione. Quindi si risistemò sulla sedia e, con un cenno della mano, scacciò i pensieri che lo tormentavano.
Non spettava a lui decidere queste cose. Ormai era andata.
«Faccia entrare il prossimo utente.»
«Sì.»
La giornata era ancora lunga, nell’ufficio di collocamento di Terra 7, medesimo Sistema Solare.

Minatori

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Un nuovo traguardo per l’umanità: Neknomination

Contesto storico: anno 2014.
Contesto sociale: su facebook, noto social network, si sta spargendo uno splendido gioco in pieno stile “catena di sant’Antonio” (proprio come i Liebster Award, già) in cui bisogna bere qualcosa di alcolico e nominare 3/4 amici. Gli amici a loro volta dovranno bere un alcolico entro 24 ore, se non riusciranno dovranno pagare qualcosa a chi li ha nominati.
Cosa c’è da sapere ancora per comprendere al meglio il fumettino: io odio le catene di Sant’Antonio. E il signor Ponzi è lui.

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Nomination Liebster Award

Jacopo Marocco mi ha scritto questo messaggio:

“Ciao,
ho nominato il tuo blog al Liebster Award (http://jacopomarocco.wordpress.com/2014/02/15/nomination-liebster-award/): sicuramente già sai di cosa si tratta, in ogni caso è tutto spiegato nel post.
Ciao
Jacopo”

E io colgo la palla al balzo per riempire questo disperato blog che tanto ignoro negli ultimi giorni (sono un miserabile).
Ma prima ancora: GRAZIE JACOPO! EVVIVA LA SCIENZA E LA FANTASCIENZA! E pure la scrittura! Evviva tutto!
Non avevo mai sentito nominare il Liebster Award, ma ne sono molto onorato. Non me l’aspettavo.

Ecco le regole:
Ringraziare e rilinkare il blogger e il suo blog di chi presenta la candidatura (se cliccate sul nome all’inizio del post potrete visitare il blog di Jacopo);
Rispondere alle 10 domande poste da chi mi ha nominato;
Nominare altri blog con pochi followers;
Proporre ai tuoi candidati 10 domande;
Andare sui singoli blog e comunicare loro la nomina (questo forse non lo farò perché non vorrei disturbare, e ho sempre paura di disturbare).

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Ecco le  mie risposte:

Perché un blog?
L’ho aperto quando ero una bomba ad orologeria ormonale e ormai è diventato una cosa a cui tengo. A dirla tutta lo proseguo perché gente simpatica continua a leggermi e a perdonare il mio carattere da marrano. Un commento di Rocco, Ariel o johnnystecchino (nella mia testa “Edo”) mi fan sentire a casa.

Chi ti credi di essere?
Ehhhh… Uno studente con poca autostima.

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Hai mai visto LOST? (Se no, non proseguire neanche)
Solo la prima stagione, caspita.

Una cosa che non rifaresti mai più
Fare una battuta in ascensore sul peso di una persona.

Andare o restare?
Io resto perché sono un codardo.

Autore preferito.
Vado a cicli. Mi piacciono molto Philip K. Dick e Cormac McCarthy. Nei fumetti Grant Morrison e Taiyo Matsumoto.

Libro preferito.
Ultimamente “Noi” di Zamjatin. Mi ha bucato il cervello, finito di leggere questo capolavoro mi sono sentito un moscerino davanti a un titano. Non sono riuscito a scrivere nulla per due mesi. Due mesi. Dico davvero. Sapete quella sensazione di aver affrontato qualcosa di più grande di voi? Un libro scritto tra il 1919 e il 1921, quasi un secolo fa, che riesce a distruggere tutte le mie sicurezze sulla scrittura. Ho sentito i miei 22 anni accartocciarsi e prendere fuoco. Un libro gigantesco.

Racconto o romanzo?
Se devo leggerlo: romanzo, da scrivere: racconto (ma perché non sono in grado di fare altro).

Anche tu trovi patetiche il 95% delle pubblicità?
Le pubblicità sono le nuvole del 2000.

L’ultimo sogno che hai fatto.
L’ho fatto stamattina e me lo sono pure scritto, guarda. Ero chiuso in una struttura completamente bianca, grande quanto una nave da crociera, assieme a centinaia di studenti della mia stessa età. Nel sogno mi muovevo come se sapessi a memoria la pianta della costruzione futuristica: andavo in mensa e chiacchieravo con i miei amici, poi facevo un salto in biblioteca e infine passavo qualche minuto nella mia stanza con altri ragazzi a parlare di esami. Sembrava un’università del futuro dove regnava sovrano il colore bianco e l’igiene. È stato piacevole, c’era un sacco di gente che conoscevo e non ho sofferto di claustrofobia.

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Ora ecco le mie 10 domande a cui, chi vorrà, potrà rispondere; fate come preferite.

-Porti le scarpe in casa?
-Che colore attribuiresti alla lettera “E”?
-Mi sai consigliare un drink per una serata?
-C’è una parte dell’alfabeto che non sopporti?
-Hai dovuto portare l’apparecchio da piccolo?
-Qual è l’ultimo fumetto che hai comprato?
-Quando ha iniziato a crescerti la barba seriamente? (per le signorine: porti i capelli lunghi?)
-Quando esci prendi con te anche i fazzoletti?
-Il ricordo più giovane dentro la tua testa?
-Che cambio usi in bicicletta?

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Ed ecco qui la lista di blog che candido:
Sull’orlo di una crisi di nervi (http://crisidinervi.wordpress.com/)
Eccentrica Gallumbits (http://johnnystecchinojr.wordpress.com/)
ci sono (http://arielisolabella.wordpress.com/)
Acidella (http://www.acidella.com/)
Il circolo dei blogger non scomparsi (http://ilcircolodeibloggernonscomparsi.wordpress.com/)
Guida epilettica per anticonformisti (http://chiaracst.wordpress.com/)
e tutti gli altri che passano da qua!

scansione0574CIAO!

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Memorie di Todd Hoover – 18 Giugno, 22:56

Diario di Todd Hoover – 18 Giugno, 22:56

Tutt’ora distinguo chiaramente l’inappropriato imbarazzo che mi procurò quella domanda. Mi sentii pervaso da un deprimente senso di colpa, ebbi bisogno di alcuni secondi per accorgermi che dovevo aver capito male.
La ragazza non poteva sapere dell’M-1808, come io non potevo sapere che l’M-1808 si era fatto una discreta fama in tutta la nazione: era sulla bocca di tutti, ben protetto da un tacito accordo comune.
Le dicerie riguardo l’esistenza dell’M-1808 si erano diffuse velocemente nelle Case Amorfe, diventando leggende urbane correlate all’uso prolungato di Nestly in modalità encefalica. Si diceva che la droga fosse un medicinale militare prodotto dalle Unioni Sovietiche; una proteina ottenuta da un’alga marina dell’Arcipelago delle Australi; un composto chimico sintetico scoperto per caso da un chimico albanese; un miscuglio alcolico distillato in Africa da una miscela di resine; un impulso elettrico localizzato nel cervello e – il mio preferito – uno stato psicofisico ottenibile attraverso un trattamento d’ipnosi all’interno dell’area più profonda di coinvolgimento ludico di Nestly.
Drogarsi giocando online, in parole povere.
Nessuna di queste insinuazioni si avvicinava lontanamente alla realtà delle cose, alla vera identità dell’M-1808; la cui caratteristica principale, comunque, era – e rimane – l’indeterminatezza.
Samantha mi affrontò con una spaventosa sicurezza, i suoi denti fecero capolino tra le labbra con un’eleganza soprannaturale poco prima di scomparire dietro al tatuogramma che le nascose il viso.
Alla vista di quella maschera mi sentii perso e da tale mi comportai; sprofondando all’interno dei miei pensieri provai un bruciore dilagante nella pancia, come una nebbia ardente in espansione tra i polmoni e l’intestino.
Tutto d’un tratto ero diventato vecchio e stupido, un arbusto di albero in fiamme, consumato dal corso degli eventi che io stesso mi ero procurato.
La colpa era mia, non del… “fato”, come a tanti piace pensare.
Non ricordo cosa le dissi.
E lei si rifiuta ancora di ripetermelo.
Non ricordo proprio.
Fine Registrazione.

Occhiolino

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Fantafumetti e Gaia Fantascienza

Quest’estate mi sono macchiato di un delitto imperdonabile: ho smesso di pubblicare post per due mesi interi.
Niente Todd Hoover, niente fumetti con le foto (ne ho in mente altri), niente racconti di fantascienza.
Cos’è successo, vi chiederete?
È successo che sono stato impegnato a scrivere 5 sceneggiature in compagnia di un amico Gnomo, famoso nei boschi tosco-emiliani. Supportato dai ragazzi di Canemarcio.
Ecco cos’è successo.

Sfere Grav

Abbiamo scritto cinque episodi brevi-brevissimi sulla fantascienza, poche pagine piene di significato e incredibilmente trasformate in fumetti.
Un lavoro che ci ha coinvolto quasi tutta l’estate, un lavoro incredibilmente divertente ed emozionante. Ampiamente ripagato da disegni dalla rara bellezza.
Insomma: un lavoro di cui sono piuttosto fiero. Anzi, molto fiero.
I ragazzi del collettivo Canemarcio sono stati fenomenali nel trasformare i miei deliri in vignette e baloon, e il prodotto finale è qualcosa che mostrerò con fierezza negli anni a venire.

Computer conf

Se siete curiosi potete leggere QUI un’anteprima della raccolta, che si chiamerà “La Gaia Fantascienza“.
Il volume uscirà al Lucca Comics. Lo troverete nella Self Area (Piazza San Romano), stand S61.
Prezzo: 6€

Altrimenti scrivete una mail a info@canemarcio.com oppure a canemarcio7@gmail.com e chiedete come avere una copia senza dover venire a Lucca.

Cucciolo spaz

Se non siete ancora abbastanza incuriositi sappiate che nell’episodio “Interazione Fondamentale” si saprà il passato di Oliver Platz, lo sconosciuto proveniente dal Sole dell’omonimo racconto, e che ho inserito qua e là easter egg sul mondo di Todd Hoover 😉

Per oggi è tutto, ciao!

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Memorie di Todd Hoover – 09 Novembre, 13:16 pt.2

Todd Hoover si rese conto dove aveva già sentito quella voce, Samantha era la studentessa che a inizio lezione gli aveva posto alcune domande riguardo i Simulanti. L’unica che pareva interessata al suo programma.
«È un piacere poter partecipare alle sue lezioni, signor Hoover.»
«Chiamami pure Todd. Ti è piaciuta la lezione di oggi?»
«Sì, è stata una sorpresa scoprire così tante fasi di lavorazione dietro ai suoi film. Non l’avrei mai immaginato, credevo i Simulanti molto più semplici da dirigere.»
«Diciamo che ci vuole una buona visione d’insieme, altrimenti si rischia di trascurare dettagli importanti.»
«Sono andata a vedere altri film girati con i Simulanti, ma solo lei riesce a farli recitare in quel modo. È… strabiliante!»
«Io non li faccio recitare, io li faccio vivere. I miei colleghi non riescono a capire questa differenza. Non sono capaci di caratterizzarli in maniera completa, tralasciano sempre qualcosa.»
«Perché ha smesso di fare lungometraggi e si è dato alla pubblicità?»
Samantha pose la domanda con tale ingenuità da spiazzare Todd: non sapeva cosa risponderle, non aveva una risposta adatta.
Il direttore Ryan Roy, con un raggiante sorriso, s’intromise nella discussione:
«Bravi, bravi, proprio una bella discussione. Come può vedere, signor Hoover, i miei studenti non sono tutti dei perfetti imbecilli. Ora… Mi spiace, ma devo lasciarvi, ho qualche pratica da archiviare. Arrivederci. Ciao Samantha, stammi bene.»
La ragazza salutò l’uomo con un timido cenno della mano, mentre Todd si lasciò andare in un movimento del capo.
Senza accorgersene erano rimasti soli nell’aula, se n’erano andati via tutti.
Todd indicò la rotonda videocamera posta nella fronte di Samantha.
«Come hai fatto ad averli? Non ne ho mai visti in commercio.»
«Mio padre è Dave Spring.»
«Dave Spring… L’uomo degli ologrammi?»
«Proprio lui. Lo conoscono in pochi, ma diventeremo presto famosi» la ragazza si alzò impercettibilmente sulla punta dei piedi e si rilasciò cadere
«Manca poco e potremo sostituirli definitivamente ai televisori. Si tratta di un paio d’anni e saranno alla portata di tutti. Abbiamo trovato un modo per eliminare la base di specchi.»
«La mia fidanzata ne ha uno di quel tipo.»
«Come si trova?»
«Non me ne ha mai parlato, credo bene.»
«Non l’ha mai provato?»
«No, non guardo molta tv. Non con lei.»
«Comunque i proiettori a specchio non hanno un’alta definizione di profondità, e la saturazione dei colori è sempre eccessiva. Non sono il massimo. Però ci stiamo evolvendo» la ragazza concluse con allegria. Quindi si mosse di qualche passo verso l’uscita dando le spalle a Todd: aveva un corpo sodo e arrotondato. Il sedere, non troppo grosso, veniva dopo splendidi fianchi stretti; il cappuccio della felpa le cadeva dietro la schiena, enfatizzando la postura perfetta. “Sembra un’atleta non troppo cresciuta” pensò Todd con imbarazzo.
Samantha si ritoccò dietro l’orecchio sinistro e attivò un leggero ronzio.
«Signor Hoover?»
«Sì?»
Samantha si voltò mostrando un grosso punto interrogativo rotante porpora al posto della faccia.
«E invece lei che mi dice dell’M-1808?»

Attrattiva

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